Ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia, in persona del presidente della giunta regionale pro tempore Riccardo Illy, autorizzato con deliberazione della giunta regionale n. 986 del 22 aprile 2004 (doc. 1), rappresentata e difesa, come da mandato a margine del presente atto, dall'avv. prof. Giandomenico Falcon di Padova, con domicilio eletto in Roma presso l'ufficio di rappresentanza della regione, piazza Colonna, 355; Contro il Presidente del Consiglio dei ministri per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli articoli 7, 10, 12, 13 e 15 del d.lgs. 19 febbraio 2004, n. 59, Definizione delle norme generali relative alla scuola dell'infanzia e al primo ciclo dell'istruzione, a norma dell'art. 1 della legge 28 marzo 2003, n. 53, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 51 del 2 marzo 2004 - S.O. n. 31, nelle parti di seguito precisate, per violazione: dell'art. 117, comma 3 e 6, e dell'art. 118 Cost., in relazione all'art. 10 legge cost. n. 3 del 2001; del principio di leale collaborazione, nei modi e per i profili di seguito indicati. Fatto Lo statuto speciale per il Friuli-Venezia Giulia prevede una potesta' legislativa della regione in materia di «scuole materne; istruzione elementare; media; classica; scientifica; magistrale; tecnica ed artistica» (art. 6, n. 1). Si tratta pero' di una potesta' meramente integrativa-attuativa, che inoltre non sembra avere avuto nelle norme di attuazione significativi svolgimenti. Si puo' quindi ritenere applicabile alla Regione Friuli-Venezia Giulia - in virtu' della clausola di «piu' ampia autonomia» dell'art. 10 legge cost. n. 3/2001 - l'art. 117, comma 3, Cost., nella parte in cui esso attribuisce alle regioni ordinarie la potesta' legislativa in materia di istruzione, sia pure «salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche», ed ovviamente (trattandosi appunto di potesta' concorrente) nel rispetto dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato. La regione agisce dunque per ottenere il riconoscimento e soprattutto il rispetto, da parte del legislatore, della potesta' legislativa concorrente ad essa spettante. Con l'art. 1, comma 1, legge 28 marzo 2003, n. 53, il Parlamento ha delegato il Governo ad «adottare,... nel rispetto delle competenze costituzionali delle regioni e di comuni e province, in relazione alle competenze conferite ai diversi soggetti istituzionali, e dell'autonomia delle istituzioni scolastiche, uno o piu' decreti legislativi per la definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e di istruzione formazione professionale» (enfasi aggiunta). La legge n. 53 del 2003, dunque, richiamava espressamente due titoli di competenza statale «esclusiva», previsti dall'art. 117, comma 2, lett. m) e n). E' chiaro, pero', che, per mantenere il senso della distinzione fra le «norme generali» di cui all'art. 117, comma 2, e i «principi fondamentali» di cui all'art. 117, comma 3, evitando di svuotare la competenza regionale concorrente (tenendo conto anche dell'autonomia delle istituzioni scolastiche), occorre individuare la categoria delle norme «generali» come quella delle norme basilari per l'ordinamento dell'istruzione, cioe' quelle che disciplinano i cicli e la loro durata, le finalita', gli esami finali, la liberta' di insegnamento e altri istituti di pari importanza. In effetti, anche se sin qui codesta ecc.ma Corte costituzionale non ha avuto ragione di definire «interamente le rispettive sfere di applicazione e il tipo di rapporto tra le norme generali sull'istruzione e i "principi fondamentali", le prime di competenza esclusiva dello Stato ed i secondi destinati a orientare le regioni chiamate a svolgerli» (sent. n. 13/2004), purtuttavia con la medesima sent. n. 13/2004 essa ha ritenuto certo che nell'ambito della legislazione regionale rientri la programmazione, l'organizzazione e la gestione del servizio scolastico (ed in particolare, la distribuzione del personale tra le istituzioni scolastiche, «che certamente non e' materia di norme generali sulla istruzione, riservate alla competenza esclusiva dello Stato, in quanto strettamente connessa alla programmazione della rete scolastica»): osservando, fra l'altro, che gia' prima della legge cost. n. 3 del 2001, il d.lgs. n. 112 del 1998 aveva attribuito (seppur per delega, visto l'art. 117 Cost. all'epoca vigente) diverse funzioni alle regioni in materia di «programmazione e gestione amministrativa del servizio scolastico», intesi come «l'insieme delle funzioni e dei compiti volti a consentire la concreta e continua erogazione del servizio di istruzione» (art. 136). Invece, come si dira', il d.lgs. n. 59/2004, nell'attuare la legge di delega n. 53 del 2003, ha regolato la materia non solo nelle sue norme generali, ma semplicemente come se le regioni non avessero alcuna significativa competenza in materia di istruzione. Gia' nella fase di formazione del decreto alcune regioni hanno avanzato diverse censure, riassunte in un allegato (doc. 2) del verbale della seduta della Conferenza unificata del 10 dicembre 2003. Ma diverse norme lesive delle competenze costituzionali regionali sono rimaste anche nella versione finale del decreto legislativo. E' da precisare innanzi tutto che il decreto contiene anche una clausola di salvaguardia per le autonomie speciali secondo cui «sono fatte salve le competenze delle regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e Bolzano in conformita' ai rispettivi statuti e relative norme di attuazione, nonche' alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3». Ma si tratta di clausola del tutto generica, che non vale certo a contrastare le specifiche norme che disciplinano la materia in modo lesivo per le regioni. Paradossalmente, si «fa salvo» per le sole regioni speciali anche quanto disposto per le regioni ordinarie, ed in virtu' del predetto art. 10 «girato» alle speciali: ma in realta' e' proprio la competenza concorrente delle regioni ordinarie, e di riflesso della ricorrente Friuli-Venezia Giulia, ad essere violata. Il d.lgs. n. 59/2004 comprende cinque capi e quattro allegati. Il capo I e' dedicato alla scuola dell'infanzia, il secondo contiene un unico articolo sul Primo ciclo di istruzione, il terzo disciplina la scuola primaria, il quarto la scuola secondaria di primo grado ed il quinto detta le Norme finali e transitorie. In particolare, l'art. 7 regola le Attivita' educative e didattiche della scuola primaria. Il comma 1 dispone che, «al fine di garantire l'esercizio del diritto-dovere di cui all'art. 4, comma 1, l'orario annuale delle lezioni nella scuola primaria, comprensivo della quota riservata alle regioni, alle istituzioni scolastiche autonome e all'insegnamento della religione cattolica in conformita' alle norme concordatarie di cui all'art. 3, comma 1, ed alle conseguenti intese, e' di 891 ore, oltre a quanto previsto al comma 2». Questo prevede che «le istituzioni scolastiche, al fine di realizzare la personalizzazione del piano di studi, organizzano, nell'ambito del piano dell'offerta formativa, tenendo conto delle prevalenti richieste delle famiglie, attivita' e insegnamenti, coerenti con il profilo educativo, per ulteriori 99 ore annue, la cui scelta e' facoltativa e opzionale per gli allievi e la cui frequenza e' gratuita». Infine, il comma 4 stabilisce che «allo scopo di garantire le attivita' educative e didattiche, di cui ai commi 1 e 2, nonche' l'assistenza educativa da parte del personale docente nel tempo eventualmente dedicato alla mensa e al dopo mensa fino ad un massimo di 330 ore annue, fermo restando il limite del numero complessivo dei posti di cui all'art. 15, e' costituito l'organico di istituto». Lo stesso comma 4 dispone ancora che «per lo svolgimento delle attivita' e degli insegnamenti di cui al comma 2, ove essi richiedano una specifica professionalita' non riconducibile al profilo professionale dei docenti della scuola primaria, le istinzioni scolastiche stipulano, nei limiti delle risorse iscritte nei loro bilanci, contratti di prestazione d'opera con esperti, in possesso di titoli definiti con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca, di concerto con il Ministro per la funzione pubblica». Il comma 5 regola la figura dell'insegnante tutor: Dopo aver riconosciuto che «l'organizzazione delle attivita' educative e didattiche rientra nell'autonomia e nella responsabilita' delle istituzioni scolastiche, fermo restando che il perseguimento delle finalita' di cui all'art. 5, assicurato dalla personalizzazione dei piani di studio, e' affidato ai docenti responsabili delle attivita' educative e didattiche, previste dai medesimi piani di studio», si aggiunge che «a tale fine concorre prioritariamente, fatta salva la contitolarita' didattica dei docenti, per l'intera durata del corso, il docente in possesso di specifica formazione che, in costante rapporto con le famiglie e con il territorio, svolge funzioni di orientamento in ordine alla scelta delle attivita' di cui al comma 2, di tutorato degli allievi, di coordinamento delle attivita' educative e didattiche, di cura delle relazioni con le famiglie e di cura della documentazione del percorso formativo compiuto dall'allievo, con l'apporto degli altri docenti». Questo particolare docente «assicura, nei primi tre anni della scuola primaria, un'attivita' di insegnamento agli alunni non inferiore alle 18 ore settimanali» (comma 6). Norme del tutto corrispondenti sono dettate dall'art. 10 per la scuola secondaria di primo grado. L'art. 12 detta norme transitorie per la Scuola dell'infanzia. Esso dispone che «nell'anno scolastico 2003-2004 possono essere iscritti alla scuola dell'infanzia, in forma di sperimentazione, volta anche alla definizione delle esigenze di nuove professionalita' e modalita' organizzative, le bambine e i bambini che compiono i tre anni di eta' entro il 28 febbraio 2004, compatibilmente con la disponibilita' dei posti, la recettivita' delle strutture, la funzionalita' dei servizi e delle risorse finanziarie dei comuni, secondo gli obblighi conferiti dall'ordinamento e nel rispetto dei limiti posti alla finanza comunale dal patto di stabilita», e che «alle stesse condizioni e modalita', per gli anni scolastici successivi puo' essere consentita un'ulteriore, graduale anticipazione, fino al limite temporale di cui all'art. 2» (in base al quale «alla scuola dell'infanzia possono essere iscritti le bambine e i bambini che compiono i tre anni di eta' entro il 30 aprile dell'anno scolastico di riferimento»). La competenza in materia e' attribuita al Ministro dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca, che «provvede, con proprio decreto, sentita l'Associazione nazionale dei comuni d'Italia (ANCI), salvo quanto previsto all'art. 7, comma 4, della legge 28 marzo 2003, n. 53, a modulare le anticipazioni, garantendo comunque il rispetto del limite di spesa di cui all'art. 18». Si ricorda che l'art. 7, comma 4, legge n. 53/2003 prevede che «per gli anni scolastici 2003-2004, 2004-2005 e 2005-2006 possono iscriversi, secondo criteri di gradualita' e in forma di sperimentazione, compatibilmente con la disponibilita' dei posti e delle risorse finanziarie dei comuni, secondo gli obblighi conferiti dall'ordinamento e nel rispetto dei limiti posti alla finanza comunale dal patto di stabilita', al primo anno della scuola dell'infanzia i bambini e le bambine che compiono i tre anni di eta' entro il 28 febbraio 2004, ovvero entro date ulteriormente anticipate, fino alla data del 30 aprile di cui all'art. 2, comma 1, lettera e)» (dunque, l'art. 12 d.lgs. n. 59/2004, fra l'altro, non rispetta il termine del 2006 posto per la fine della sperimentazione dalla legge di delega). L'art. 12, comma 2, dispone poi che, «al fine di armonizzare il passaggio al nuovo ordinamento, fino all'emanazione del relativo regolamento governativo, si adotta in via transitoria l'assetto pedagogico, didattico ed organizzativo individuato nell'allegato A». L'allegato A reca le «Indicazioni nazionali per i piani personalizzati delle attivita' educative nelle scuole dell'infanzia» e subito esso precisa che «le Indicazioni esplicitano i livelli essenziali di prestazione a cui tutte le Scuole dell'infanzia del Sistema Nazionale di Istruzione sono tenute per garantire il diritto personale, sociale e civile all'istruzione e alla formazione di qualita». In realta' esso rappresenta (come gli altri allegati) un curioso documento che mescola indicazioni di tipo tecnico-pedagogico (alle quali e' stato inopinatamente attribuito rango legislativo) con norme di tipo organizzativo (come quelle relative al c.d. portfolio delle competenze individuali e quelle recanti i Vincoli organizzativi, poste alla fine dell'allegato). Si noti, per di piu', che la determinazione in via transitoria dell'assetto pedagogico, didattico ed organizzativo da parte del decreto legislativo non era prevista dalla delega. L'art. 12, comma 2, tra l'altro, si riferisce genericamente ad un «regolamento»: si tratta, verosimilmente, di quello di cui all'art. 7, comma 1, legge n. 53/2003, secondo cui «mediante uno o piu' regolamenti da adottare a norma dell'art. 117, sesto comma, della Costituzione e dell'art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sentite le Commissioni parlamentari competenti, nel rispetto dell'autonomia delle istituzioni scolastiche, si provvede: a) alla individuazione del nucleo essenziale dei piani di studio scolastici per la quota nazionale relativamente agli obiettivi specifici di apprendimento, alle discipline e alle attivita' costituenti la quota nazionale dei piani di studio, agli orari, ai limiti di flessibilita' interni nell'organizzazione delle discipline; b) alla determinazione delle modalita' di valutazione dei crediti scolastici; c) alla definizione degli standard minimi formativi, richiesti per la spendibilita' nazionale dei titoli professionali conseguiti all'esito dei percorsi formativi, nonche' per i passaggi dai percorsi formativi ai percorsi scolastici». Analogamente all'art. 12, l'art. 13, comma 1, attribuisce al Ministro dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca la «gestione» delle anticipazioni delle iscrizioni alla scuola primaria, «fino al limite temporale previsto dall'art. 6, comma 2» (in base al quale «possono essere iscritti al primo anno della scuola primaria anche le bambine e i bambini che compiono i sei anni di eta' entro il 30 aprile dell'anno scolastico di riferimento»), e sempre l'art. 13, comma 3, dispone che, «al fine di armonizzare il passaggio al nuovo ordinamento, l'avvio dei primo ciclo di istruzione ha carattere di gradualita», e che, «fino all'emanazione del relativo regolamento governativo, si adotta, in via transitoria, l'assetto pedagogico, didattico e organizzativo individuato nell'allegato B, facendo riferimento al profilo educativo, culturale e professionale individuato nell'allegato D». Infine, l'art. 15 stabilisce che, «al fine di realizzare le attivita' educative di cui all'art. 7, commi 1, 2 e 3, e all'art. 10, commi 1, 2 e 3, e' confermato in via di prima applicazione, per l'anno scolastico 2004-2005, il numero dei posti attivati complessivamente a livello nazionale per l'anno scolastico 2003-2004 per le attivita' di tempo pieno e di tempo prolungato ai sensi delle norme previdenti», aggiungendo che, «per gli anni successivi, ulteriori incrementi di posti, per le stesse finalita', possono essere attivati nell'ambito della consistenza dell'organico complessivo dei personale docente dei corrispondenti ordini di scuola determinata con il decreto del Ministro dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, di cui all'art. 22, comma 2, della legge 28 dicembre 2001, n. 448». Le norme ora ricordate si rivelano lesive delle competenze costituzionali della Regione Friuli-Venezia Giulia per le seguenti ragioni di Diritto 1. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 1, 2, primo periodo, e 4, primo periodo, e dell'art. 10, commi 1, 2, primo periodo, e 4, primo periodo per violazione dell'art. 117, comma 3, Cost. (in collegamento con l'art. 10 legge cost. n. 3/2001). Come visto, l'art. 7 si occupa della scuola primaria e l'art. 10 della scuola secondaria di primo grado. Il comma 1 di entrambe le disposizioni fissa «l'orario annuale delle lezioni..., comprensivo della quota riservata alle regioni, alle istituzioni scolastiche autonome», nella misura fissa di 891 ore. A queste ore si aggiungono ulteriori 99 ore annue (per la scuola primaria) e 198 ore annue (per la scuola secondaria di primo grado) di «attivita' e insegnamenti» facoltativi, organizzati dalle scuole al fine di realizzare la personalizzazione del piano di studi. Il comma 4, poi, definisce anche il tempo dedicato «alla mensa e al dopo mensa», ponendo il limite massimo di 330 ore annue (art. 7) e di 231 ore annue (art. 10). Dunque, mentre per la scuola dell'infanzia l'art. 3 stabilisce che l'orario annuale delle attivita' educative «si diversifica da un minimo di 875 ad un massimo di 1700 ore, a seconda dei progetti educativi delle singole scuole dell'infanzia, tenuto conto delle richieste delle famiglie», per la scuola primaria e secondaria di primo grado il d.lgs. n. 59/2004 non lascia nessun margine di scelta ne' alle regioni ne' alle scuole, direttamente prescrivendo un orario fisso sia per le lezioni obbligatorie sia per le attivita' facoltative. La regione ritiene debba escludersi che il vincolo rigido nella fissazione dell'orario annuale delle attivita' educative possa giustificarsi sulla base dell'art. 117, comma 2, lett. n) (si e' gia' detto quale dovrebbe essere l'ambito delle «norme generali»); e' qui da aggiungere che le norme in questione non possono neppure considerarsi «principi fondamentali» in materia di istruzione (del resto, dato il contenuto della delega, il Governo si sarebbe in ogni caso dovuto limitare a dettare le nome generali). Come ha precisato codesta Corte, i «principi fondamentali» in materia di istruzione hanno la funzione di «orientare le regioni chiamate a svolgerli»: ma la fissazione di un «monte ore» fisso non richiede ne' consente alcuno svolgimento da parte delle regioni e delle scuole, alle quali e' tolta ogni discrezionalita' nell'organizzare le attivita' educative, sia obbligatorie che facoltative. I commi 1, 2, primo periodo, e 4, primo periodo, di entrambe le disposizioni, dunque, sono illegittimi nella parte in cui fissano con precisione l'orario annuale perche' pongono norme di dettaglio in materia di competenza concorrente, e vincolano ad esse. Si noti, poi, che la fissazione in dettaglio dell'orario riguarda anche la «quota riservata alle regioni», cioe' la quota «relativa agli aspetti di interesse specifico delle stesse, anche collegata con le realta' locali», di cui all'art. 2, comma 1, lett. l), legge n. 53/2003. E' addirittura paradossale che neppure per la propria quota di piano di studi alle regioni sia consentito di esprimere una opzione in relazione all'orario di lezioni. Addirittura, il comma 4 (sia dell'art. 7 che dell'art. 10) fissa un limite massimo anche per il tempo dedicato alla mensa e al dopo mensa: in questo caso, l'interferenza con l'organizzazione del servizio scolastico, di competenza regionale e delle scuole, sembra particolarmente evidente, cosi' come il carattere dettagliato della disposizione. E' chiaro che la fissazione degli orari e' legata anche alla determinazione dell'organico: ma anche nell'attuale situazione - che non appare certo armonizzata con i principi della competenza concorrente - in cui la determinazione dell'organico spetta allo Stato (v. art. 221, legge n. 448/2001), alle regioni e alle scuole compete un margine di discrezionalita' nella fissazione dell'orario (pur nell'ovvio rispetto delle esigenze di organico) che non puo' essere eliminato. Di piu', sembra evidente che di queste esigenze si puo' tenere conto in modo del tutto adeguato - nel pieno rispetto anche del principio di sussidiarieta' - proprio a livello regionale, sulla base del decreto di ripartizione dell'organico fra le regioni di cui all'art. 22, comma 2, legge n. 448/2001; e che invece una norma statale che cristallizza l'orario, a prescindere dai mutamenti futuri dell'organico (previsti dallo stesso d.lgs. n. 59/2004, all'art. 15) risulta uno strumento oltretutto troppo rigido. Fra l'altro, l'orario delle lezioni, della mensa e del dopo mensa dovrebbe poter variare anche in base alla quantita' di richieste di attivita' opzionali di cui all'art. 7, comma 2, e all'art. 10, comma 2. 2. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 4, secondo periodo, e dell'art. 10, comma 4, secondo periodo, per violazione dell'art. 117, comma 3, Cost. e del principio di leale collaborazione. Anche l'art. 7, comma 4, e l'art. 10, comma 4, sono disposizioni di dettaglio in materia di competenza concorrente, che regolano, senza lasciare spazio alle regioni e alle scuole, il modo in cui far fronte all'eventualita' in cui le attivita' educative opzionali richiedano una specifica professionalita' non reperibile fra i docenti delle scuole stesse. Oltre all'art. 117, comma 3, le norme in questione violano anche il principio di leale collaborazione perche' prevedono che, nei casi di cui sopra, «le istituzioni scolastiche stipulano, nei limiti delle risorse iscritte nei loro bilanci, contratti di prestazione d'opera con esperti, in possesso di titoli definiti con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca, di concerto con il Ministro per la funzione pubblica». Le norme impugnate attengono sia all'istruzione sia alle professioni, ed in entrambi i casi si tratta di materie di competenza concorrente. La definizione dei titoli degli «esperti» puo' considerarsi - almeno nella determinazione di requisiti minimi - funzione sorretta da esigenze unitarie: ma si tratta pur sempre di una regolazione interna alla materia regionale, ed essa, in base alla sent. n. 303/2003, dovrebbe comunque essere svolta previa intesa con la Conferenza Stato-regioni. 3. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 5, secondo periodo, e comma 6, e dell'art. 10, comma 5, secondo periodo, per violazione dell'art. 117, comma 3, Cost. Come esposto in narrativa, l'art. 7, comma 5, e l'art. 10, comma 5, disciplinano la figura dell'insegnante «tutor». Anche in questo caso si tratta di disposizioni dettagliate (per giunta integrate da quanto dispongono gli allegati b) e c), che regolano i vari compiti del docente tutor senza lasciare spazio neppure ad una normativa attuativa regionale. Per rispettare il quadro costituzionale delle competenze, lo Stato si sarebbe dovuto limitare ad indicare la possibilita' per le regioni o per le scuole di istituire questa figura, senza imporla. La sua presenza, infatti, non puo' essere considerata un «principio fondamentale» in materia di istruzione: si tratta di una specifica soluzione organizzativa di un problema - quello della specifica e continua attenzione al singolo studente - che ne ammette molte, e che allo stato attuale costituisce oggetto di sperimentazione. La migliore soluzione dipende in concreto da molti fattori (bisogni e condizioni degli studenti, disponibilita' di docenti e di eventuali risorse esterne, orientamenti pedagogici e disponibilita' di competenze), che variano anche da scuola a scuola. Anche in questo caso, invece, il Governo ha agito come se le regioni non avessero alcun ruolo nella materia, ne' le scuole stesse alcuna autonomia. Particolarmente lesivo pare l'art. 7, comma 6, che fissa una quantita' minima di ore di «insegnamento agli alunni» a carico del tutor (esso e' integrato, in via transitoria, dall'allegato B, in base al quale il tutor «svolge attivita' educative e didattiche in presenza con l'intero gruppo di allievi che gli e' stato affidato per l'intero quinquennio, per un numero di ore che oscillano da 594 a 693 su 891 annuali»): e' chiaro anche qui il carattere non di «principio fondamentale» della norma, che interferisce con l'organizzazione dell'orario degli insegnanti all'interno di ciascuna scuola, limitando fortemente l'autonomia delle scuole e pregiudicando la competenza legislativa regionale. 4. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 12, comma 1, ult. periodo, e 13, comma 1, secondo periodo, per violazione dell'art. 117, comma 3, e dell'art. 118 Cost. e del principio di leale collaborazione. Come sopra esposto, l'art. 12 e l'art. 13 dettano norme transitorie in relazione alla scuola dell'infanzia e alla scuola primaria. I commi 1 delle due disposizioni si occupano delle anticipazioni delle iscrizioni. In relazione a cio' l'art. 2, comma 1, lett. e), della legge delega n. 53/2003 ha stabilito che «alla scuola dell'infanzia possono essere iscritti secondo criteri di gradualita' e in forma di sperimentazione le bambine e i bambini che compiono i 3 anni di eta' entro il 30 aprile dell'anno scolastico di riferimento, anche in rapporto all'introduzione di nuove professionalita' e modalita' organizzative»; l'art. 2, comma 1, lett. f), per parte sua, ha previsto che «alla scuola primaria... possono iscriversi anche le bambine e i bambini che li compiono [i 6 anni] entro il 30 aprile dell'anno scolastico di riferimento».. La legge delega non precisava, per la scuola dell'infanzia, chi dovesse «gestire» la sperimentazione. L'art. 12, comma 1, ultimo periodo, del decreto legislativo n. 59/2004 ha attribuito la competenza in materia al Ministro dell'istruzione, «sentita l'ANCI». La ricorrente regione ritiene si tratti di materia di propria competenza sia per la attuazione legislativa che per l'eventuale attuazione in via di normazione secondaria o in via amministrativa: la «modulazione» delle anticipazioni nell'iscrizione alla scuola dell'infanzia, infatti, non risulta essere una funzione da svolgere necessariamente al centro in base al principio di sussidiarieta'. Al contrario, poiche' la sperimentazione deve tenere conto - come risulta espressamente dallo stesso art. 12, comma 1 - delle peculiari situazioni locali, il livello piu' adeguato per regolare l'anticipazione e' proprio quello regionale. Comunque, una volta riconosciuto che il principio di sussidiarieta' non richiede una competenza derogatoria centrale, spetta alla regione ogni decisione sulla gestione, rispettando essa stessa il principio di sussidiarieta'. Inoltre, la norma di delega sopra citata collega l'anticipazione dell'iscrizione alla introduzione di nuove modalita' organizzative e cio' conferma che l'ambito «naturale» della gestione delle anticipazioni e' quello regionale: che, del resto, e' l'ambito costituzionalmente prescritto, trattandosi di materia concorrente, salva l'applicazione dell'art. 118 Cost. Ugualmente deve ritenersi per l'art. 13, comma 1, che corrispondentemente prevede la possibilita' di un'anticipazione dell'iscrizione alla scuola primaria, gestita anch'essa, illegittimamente, dal Ministro dell'istruzione. In subordine, qualora ad avviso di codesta Corte si dovesse ravvisare un'esigenza unitaria a fondamento delle norme impugnate, esse sarebbero comunque illegittime per mancato coinvolgimento delle regioni e, dunque, per violazione dei principi di cui alla sent. n. 303/2003. 5. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 12, comma 2, e dell'art. 13, comma 3, per violazione dell'art. 117, comma 6, e del principio di leale collaborazione. L'art. 12, comma 2, e l'art. 13, comma 3, adottano in via transitoria, fino all'emanazione del regolamento di cui (si presume) all'art. 7, comma 1, legge n. 53/2003, «l'assetto pedagogico, didattico ed organizzativo» di cui agli allegati A (per la scuola dell'infanzia) e B (per la scuola primaria). L'art. 7, comma 1, affida al regolamento l'«individuazione del nucleo essenziale dei piani di studio scolastici per la quota nazionale relativamente agli obiettivi specifici di apprendimento, alle discipline e alle attivita' costituenti la quota nazionale dei piani di studio, agli orari, ai limiti di flessibilita' interni nell'organizzazione delle discipline» (lett. a), la «determinazione delle modalita' di valutazione dei crediti scolastici» (lett. b) e la «definizione degli standard minimi formativi, richiesti per la spendibilita' nazionale dei titoli professionali conseguiti all'esito dei percorsi formativi, nonche' per i passaggi dal percorsi formativi ai percorsi scolastici» (lett. e): ma solo per le norme di cui alla lett. c) e' richiesta l'intesa con la Conferenza Stato/regioni. Ora, pare alla ricorrente regione che gli «orari» (lett. a) e le modalita' di valutazione dei crediti scolastici non rientrino nell'ambito delle «norme generali sull'istruzione» e che, quindi, essi non possano essere oggetto di regolamenti statali, essendo cio' precluso dall'art. 117, comma 6, Cost. (in collegamento, per la ricorrente regione, con l'art. 10 legge cost. n. 3/2001). In queste materie, lo Stato dispone di competenza legislativa limitata ai principi fondamentali, e non dispone di potere normativo attuativo, dato che la potesta' legislativa, all'interno dei principi fondamentali, spetta alle regioni. L'art. 12, comma 2, e l'art. 13, comma 3, invece, richiamando l'art. 7, comma 1, legge n. 53/2003, reiterano l'illegittima previsione del regolamento statale. Si noti che non varrebbe replicare che la censura doveva essere rivolta contro l'art. 7 legge n. 53/2003, perche' e' pacifico nella giurisprudenza di codesta Corte che gli atti legislativi sono impugnabili anche se apparentemente «confermativi», perche' dotati sempre, per propria natura intrinseca, del carattere della novita' (v., ad es., sentt. n. 30 e 44/1957, 47 e 63/1959, 3/1964, 19/1970, 171/1971, 49/1987, 1035/1988, 381/1990, 224/1994). In subordine, l'art. 12, comma 2, e l'art. 13, comma 3, sono illegittimi nella parte in cui richiamano un regolamento che richiede l'intesa con la Conferenza Stato-regioni solo in relazione al profilo di cui alla lett. c) e non anche in relazione agli «orari» e alle modalita' di valutazione dei crediti scolastici: oggetti che, se anche vengono ricondotti all'art. 117, comma 2, lett. n), comunque interferiscono con la gestione del servizio scolastico, di competenza regionale, e dunque richiedono di essere disciplinati con adeguati meccanismi collaborativi. 6. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 15, comma 1, secondo periodo, per violazione dell'art. 117, comma 3, e del principio di leale collaborazione. La norma in epigrafe prevede la possibilita' di «incrementi di posti» nell'ambito dell'organico del personale docente, mediante «il decreto del Ministro dell'istruzione..., di concerto con il Ministro dell'economia..., di cui all'art. 22, comma 2» legge n. 448/2001. Si ricorda che in base a tale articolo «il Ministro dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca definisce con proprio decreto, emanato di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, i parametri per l'attuazione di quanto previsto nel comma 1 e provvede alla determinazione della consistenza complessiva degli organici del personale docente ed alla sua ripartizione su base regionale». Ora, ragionando in astratto, la competenza costituzionale propria ormai delle regioni in materia di gestione e organizzazione del servizio dell'istruzione richiede che lo Stato, nel quadro e in attuazione dell'art. 119 Cost., trasferisca alle regioni le risorse necessarie ad esercitare anche la funzione in questione, pienamente rientrante nell'organizzazione del servizio. In attesa di una compiuta attuazione dell'art. 119 Cost., la ricorrente regione puo' accettare una misura di gradualita' nella messa in opera del nuovo sistema: ma non puo' accettare che la legislazione vada in una direzione opposta alle prescrizioni costituzionali. Cosi' fa invece l'art. 15, la' dove esso non prevede alcun significativo coinvolgimento delle regioni nell'esercizio della funzione di determinazione dell'organico, attinente ad una materia di competenza concorrente (v. sent. n. 303/2003). Quanto all'autonoma impugnabilita' di ogni norma legislativa, anche se apparentemente confermativa di una norma non impugnata, v. il punto precedente.