Ricorso  della  Regione  Friuli-Venezia  Giulia,  in  persona del
presidente   della   giunta  regionale  pro  tempore  Riccardo  Illy,
autorizzato  con  deliberazione  della giunta regionale n. 986 del 22
aprile  2004  (doc. 1),  rappresentata  e  difesa,  come da mandato a
margine  del  presente  atto,  dall'avv. prof. Giandomenico Falcon di
Padova,   con   domicilio   eletto   in   Roma  presso  l'ufficio  di
rappresentanza della regione, piazza Colonna, 355;
    Contro   il   Presidente   del  Consiglio  dei  ministri  per  la
dichiarazione  di illegittimita' costituzionale degli articoli 7, 10,
12,  13  e  15  del d.lgs. 19 febbraio 2004, n. 59, Definizione delle
norme  generali  relative  alla scuola dell'infanzia e al primo ciclo
dell'istruzione,  a  norma  dell'art. 1  della  legge  28 marzo 2003,
n. 53,  pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale n. 51 del 2 marzo 2004 -
S.O. n. 31, nelle parti di seguito precisate, per violazione:
        dell'art. 117,  comma  3  e  6,  e  dell'art. 118  Cost.,  in
relazione all'art. 10 legge cost. n. 3 del 2001;
        del  principio  di  leale  collaborazione,  nei  modi e per i
profili di seguito indicati.

                                Fatto

    Lo  statuto  speciale  per  il  Friuli-Venezia Giulia prevede una
potesta'  legislativa  della  regione  in materia di «scuole materne;
istruzione  elementare;  media;  classica;  scientifica;  magistrale;
tecnica ed artistica» (art. 6, n. 1). Si tratta pero' di una potesta'
meramente  integrativa-attuativa,  che inoltre non sembra avere avuto
nelle norme di attuazione significativi svolgimenti.
    Si  puo'  quindi ritenere applicabile alla Regione Friuli-Venezia
Giulia   -  in  virtu'  della  clausola  di  «piu'  ampia  autonomia»
dell'art. 10  legge  cost.  n. 3/2001  -  l'art. 117, comma 3, Cost.,
nella  parte  in  cui  esso  attribuisce  alle  regioni  ordinarie la
potesta'  legislativa  in  materia  di  istruzione,  sia  pure «salva
l'autonomia    delle    istituzioni   scolastiche»,   ed   ovviamente
(trattandosi  appunto  di  potesta'  concorrente)  nel  rispetto  dei
principi  fondamentali  stabiliti dalle leggi dello Stato. La regione
agisce  dunque  per  ottenere  il  riconoscimento  e  soprattutto  il
rispetto,  da  parte  del  legislatore,  della  potesta'  legislativa
concorrente ad essa spettante.
    Con  l'art. 1, comma 1, legge 28 marzo 2003, n. 53, il Parlamento
ha delegato il Governo ad «adottare,... nel rispetto delle competenze
costituzionali  delle  regioni  e  di comuni e province, in relazione
alle  competenze  conferite  ai  diversi  soggetti  istituzionali,  e
dell'autonomia  delle  istituzioni  scolastiche,  uno  o piu' decreti
legislativi per la definizione delle norme generali sull'istruzione e
dei  livelli  essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e
di istruzione formazione professionale» (enfasi aggiunta).
    La  legge  n. 53  del  2003, dunque, richiamava espressamente due
titoli  di  competenza  statale  «esclusiva», previsti dall'art. 117,
comma 2, lett. m) e n).
    E'  chiaro,  pero', che, per mantenere il senso della distinzione
fra  le  «norme generali» di cui all'art. 117, comma 2, e i «principi
fondamentali»  di  cui all'art. 117, comma 3, evitando di svuotare la
competenza  regionale concorrente (tenendo conto anche dell'autonomia
delle  istituzioni  scolastiche),  occorre  individuare  la categoria
delle   norme   «generali»  come  quella  delle  norme  basilari  per
l'ordinamento  dell'istruzione, cioe' quelle che disciplinano i cicli
e  la  loro  durata,  le  finalita', gli esami finali, la liberta' di
insegnamento e altri istituti di pari importanza.
    In  effetti, anche se sin qui codesta ecc.ma Corte costituzionale
non  ha avuto ragione di definire «interamente le rispettive sfere di
applicazione   e   il   tipo   di  rapporto  tra  le  norme  generali
sull'istruzione  e  i "principi fondamentali", le prime di competenza
esclusiva  dello  Stato ed i secondi destinati a orientare le regioni
chiamate a svolgerli» (sent. n. 13/2004), purtuttavia con la medesima
sent.  n. 13/2004  essa  ha  ritenuto  certo  che  nell'ambito  della
legislazione  regionale rientri la programmazione, l'organizzazione e
la   gestione   del   servizio  scolastico  (ed  in  particolare,  la
distribuzione  del  personale  tra  le  istituzioni scolastiche, «che
certamente  non  e'  materia  di  norme  generali  sulla  istruzione,
riservate   alla   competenza   esclusiva   dello  Stato,  in  quanto
strettamente  connessa  alla  programmazione della rete scolastica»):
osservando,  fra  l'altro,  che gia' prima della legge cost. n. 3 del
2001,  il d.lgs. n. 112 del 1998 aveva attribuito (seppur per delega,
visto  l'art. 117  Cost.  all'epoca  vigente)  diverse  funzioni alle
regioni  in  materia di «programmazione e gestione amministrativa del
servizio  scolastico»,  intesi  come  «l'insieme delle funzioni e dei
compiti  volti  a  consentire  la  concreta e continua erogazione del
servizio di istruzione» (art. 136).
    Invece,  come  si  dira',  il  d.lgs. n. 59/2004, nell'attuare la
legge di delega n. 53 del 2003, ha regolato la materia non solo nelle
sue  norme generali, ma semplicemente come se le regioni non avessero
alcuna significativa competenza in materia di istruzione.
    Gia'  nella  fase  di formazione del decreto alcune regioni hanno
avanzato  diverse  censure,  riassunte  in  un  allegato (doc. 2) del
verbale della seduta della Conferenza unificata del 10 dicembre 2003.
Ma  diverse  norme  lesive  delle competenze costituzionali regionali
sono rimaste anche nella versione finale del decreto legislativo.
    E'  da  precisare innanzi tutto che il decreto contiene anche una
clausola  di salvaguardia per le autonomie speciali secondo cui «sono
fatte  salve  le  competenze delle regioni a statuto speciale e delle
Province  autonome  di  Trento e Bolzano in conformita' ai rispettivi
statuti   e   relative   norme  di  attuazione,  nonche'  alla  legge
costituzionale  18  ottobre 2001, n. 3». Ma si tratta di clausola del
tutto  generica, che non vale certo a contrastare le specifiche norme
che   disciplinano   la  materia  in  modo  lesivo  per  le  regioni.
Paradossalmente,  si  «fa  salvo»  per le sole regioni speciali anche
quanto  disposto  per le regioni ordinarie, ed in virtu' del predetto
art. 10   «girato»  alle  speciali:  ma  in  realta'  e'  proprio  la
competenza  concorrente  delle regioni ordinarie, e di riflesso della
ricorrente Friuli-Venezia Giulia, ad essere violata.
    Il d.lgs. n. 59/2004 comprende cinque capi e quattro allegati. Il
capo  I e' dedicato alla scuola dell'infanzia, il secondo contiene un
unico  articolo sul Primo ciclo di istruzione, il terzo disciplina la
scuola  primaria, il quarto la scuola secondaria di primo grado ed il
quinto detta le Norme finali e transitorie.
    In   particolare,   l'art. 7  regola  le  Attivita'  educative  e
didattiche della scuola primaria. Il comma 1 dispone che, «al fine di
garantire  l'esercizio del diritto-dovere di cui all'art. 4, comma 1,
l'orario  annuale  delle  lezioni  nella scuola primaria, comprensivo
della  quota  riservata  alle  regioni,  alle istituzioni scolastiche
autonome  e all'insegnamento della religione cattolica in conformita'
alle  norme  concordatarie  di  cui  all'art. 3,  comma  1,  ed  alle
conseguenti  intese,  e' di 891 ore, oltre a quanto previsto al comma
2».
    Questo  prevede  che  «le  istituzioni  scolastiche,  al  fine di
realizzare  la  personalizzazione  del  piano  di studi, organizzano,
nell'ambito  del  piano  dell'offerta  formativa, tenendo conto delle
prevalenti   richieste  delle  famiglie,  attivita'  e  insegnamenti,
coerenti con il profilo educativo, per ulteriori 99 ore annue, la cui
scelta  e' facoltativa e opzionale per gli allievi e la cui frequenza
e' gratuita».
    Infine,  il  comma  4  stabilisce che «allo scopo di garantire le
attivita'  educative  e  didattiche,  di  cui ai commi 1 e 2, nonche'
l'assistenza  educativa  da  parte  del  personale  docente nel tempo
eventualmente  dedicato alla mensa e al dopo mensa fino ad un massimo
di 330 ore annue, fermo restando il limite del numero complessivo dei
posti  di  cui all'art. 15, e' costituito l'organico di istituto». Lo
stesso comma 4 dispone ancora che «per lo svolgimento delle attivita'
e  degli  insegnamenti  di  cui  al  comma 2, ove essi richiedano una
specifica professionalita' non riconducibile al profilo professionale
dei   docenti   della  scuola  primaria,  le  istinzioni  scolastiche
stipulano,  nei  limiti  delle  risorse  iscritte  nei  loro bilanci,
contratti  di  prestazione d'opera con esperti, in possesso di titoli
definiti con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'universita' e
della ricerca, di concerto con il Ministro per la funzione pubblica».
    Il  comma  5  regola  la  figura dell'insegnante tutor: Dopo aver
riconosciuto   che  «l'organizzazione  delle  attivita'  educative  e
didattiche  rientra  nell'autonomia  e  nella  responsabilita'  delle
istituzioni  scolastiche,  fermo  restando che il perseguimento delle
finalita'  di  cui all'art. 5, assicurato dalla personalizzazione dei
piani  di studio, e' affidato ai docenti responsabili delle attivita'
educative  e  didattiche,  previste dai medesimi piani di studio», si
aggiunge  che  «a tale fine concorre prioritariamente, fatta salva la
contitolarita'  didattica dei docenti, per l'intera durata del corso,
il  docente  in  possesso  di  specifica  formazione che, in costante
rapporto  con  le  famiglie  e  con il territorio, svolge funzioni di
orientamento in ordine alla scelta delle attivita' di cui al comma 2,
di tutorato degli allievi, di coordinamento delle attivita' educative
e didattiche, di cura delle relazioni con le famiglie e di cura della
documentazione  del  percorso  formativo  compiuto  dall'allievo, con
l'apporto degli altri docenti».
    Questo  particolare  docente  «assicura, nei primi tre anni della
scuola   primaria,  un'attivita'  di  insegnamento  agli  alunni  non
inferiore alle 18 ore settimanali» (comma 6).
    Norme  del  tutto corrispondenti sono dettate dall'art. 10 per la
scuola secondaria di primo grado.
    L'art. 12  detta  norme  transitorie per la Scuola dell'infanzia.
Esso  dispone  che  «nell'anno  scolastico  2003-2004  possono essere
iscritti  alla  scuola  dell'infanzia,  in  forma di sperimentazione,
volta anche alla definizione delle esigenze di nuove professionalita'
e  modalita' organizzative, le bambine e i bambini che compiono i tre
anni  di  eta'  entro  il  28  febbraio  2004, compatibilmente con la
disponibilita'   dei  posti,  la  recettivita'  delle  strutture,  la
funzionalita'  dei  servizi  e  delle risorse finanziarie dei comuni,
secondo  gli  obblighi  conferiti dall'ordinamento e nel rispetto dei
limiti  posti  alla  finanza  comunale dal patto di stabilita», e che
«alle   stesse  condizioni  e  modalita',  per  gli  anni  scolastici
successivi    puo'    essere    consentita   un'ulteriore,   graduale
anticipazione,  fino  al limite temporale di cui all'art. 2» (in base
al  quale  «alla  scuola  dell'infanzia  possono  essere  iscritti le
bambine  e  i  bambini  che  compiono  i tre anni di eta' entro il 30
aprile dell'anno scolastico di riferimento»).
    La    competenza   in   materia   e'   attribuita   al   Ministro
dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca, che «provvede, con
proprio decreto, sentita l'Associazione nazionale dei comuni d'Italia
(ANCI),  salvo  quanto  previsto  all'art. 7, comma 4, della legge 28
marzo  2003,  n. 53, a modulare le anticipazioni, garantendo comunque
il  rispetto  del limite di spesa di cui all'art. 18». Si ricorda che
l'art. 7,  comma  4,  legge  n. 53/2003  prevede  che  «per  gli anni
scolastici  2003-2004,  2004-2005  e  2005-2006  possono  iscriversi,
secondo  criteri  di  gradualita'  e  in  forma  di  sperimentazione,
compatibilmente  con  la  disponibilita'  dei  posti  e delle risorse
finanziarie    dei    comuni,    secondo   gli   obblighi   conferiti
dall'ordinamento  e  nel  rispetto  dei  limiti  posti  alla  finanza
comunale  dal  patto  di  stabilita',  al  primo  anno  della  scuola
dell'infanzia  i bambini e le bambine che compiono i tre anni di eta'
entro   il   28   febbraio  2004,  ovvero  entro  date  ulteriormente
anticipate,  fino alla data del 30 aprile di cui all'art. 2, comma 1,
lettera  e)»  (dunque,  l'art. 12 d.lgs. n. 59/2004, fra l'altro, non
rispetta  il termine del 2006 posto per la fine della sperimentazione
dalla legge di delega).
    L'art. 12,  comma  2, dispone poi che, «al fine di armonizzare il
passaggio  al  nuovo  ordinamento,  fino  all'emanazione del relativo
regolamento  governativo,  si  adotta  in  via  transitoria l'assetto
pedagogico, didattico ed organizzativo individuato nell'allegato A».
    L'allegato   A   reca  le  «Indicazioni  nazionali  per  i  piani
personalizzati  delle attivita' educative nelle scuole dell'infanzia»
e  subito  esso  precisa  che  «le  Indicazioni esplicitano i livelli
essenziali  di  prestazione  a  cui tutte le Scuole dell'infanzia del
Sistema  Nazionale di Istruzione sono tenute per garantire il diritto
personale,  sociale  e  civile  all'istruzione  e  alla formazione di
qualita».  In  realta'  esso rappresenta (come gli altri allegati) un
curioso  documento che mescola indicazioni di tipo tecnico-pedagogico
(alle quali e' stato inopinatamente attribuito rango legislativo) con
norme  di  tipo organizzativo (come quelle relative al c.d. portfolio
delle   competenze   individuali   e   quelle   recanti   i   Vincoli
organizzativi, poste alla fine dell'allegato).
    Si  noti,  per  di piu', che la determinazione in via transitoria
dell'assetto  pedagogico,  didattico  ed  organizzativo  da parte del
decreto legislativo non era prevista dalla delega.
    L'art. 12, comma 2, tra l'altro, si riferisce genericamente ad un
«regolamento»:   si   tratta,   verosimilmente,   di  quello  di  cui
all'art. 7,  comma  1,  legge n. 53/2003, secondo cui «mediante uno o
piu'  regolamenti  da  adottare  a  norma dell'art. 117, sesto comma,
della  Costituzione  e  dell'art.  17, comma 2, della legge 23 agosto
1988,  n. 400,  sentite  le  Commissioni parlamentari competenti, nel
rispetto dell'autonomia delle istituzioni scolastiche, si provvede:
        a)  alla  individuazione  del  nucleo essenziale dei piani di
studio scolastici per la quota nazionale relativamente agli obiettivi
specifici   di   apprendimento,  alle  discipline  e  alle  attivita'
costituenti  la  quota  nazionale dei piani di studio, agli orari, ai
limiti di flessibilita' interni nell'organizzazione delle discipline;
        b)  alla  determinazione  delle  modalita' di valutazione dei
crediti scolastici;
        c)   alla   definizione   degli  standard  minimi  formativi,
richiesti  per  la  spendibilita'  nazionale dei titoli professionali
conseguiti  all'esito  dei percorsi formativi, nonche' per i passaggi
dai percorsi formativi ai percorsi scolastici».
    Analogamente  all'art. 12,  l'art. 13,  comma  1,  attribuisce al
Ministro   dell'istruzione,   dell'universita'  e  della  ricerca  la
«gestione» delle anticipazioni delle iscrizioni alla scuola primaria,
«fino  al limite temporale previsto dall'art. 6, comma 2» (in base al
quale  «possono  essere  iscritti al primo anno della scuola primaria
anche le bambine e i bambini che compiono i sei anni di eta' entro il
30  aprile dell'anno scolastico di riferimento»), e sempre l'art. 13,
comma  3,  dispone che, «al fine di armonizzare il passaggio al nuovo
ordinamento,  l'avvio  dei  primo ciclo di istruzione ha carattere di
gradualita»,  e  che,  «fino  all'emanazione del relativo regolamento
governativo,  si  adotta,  in  via transitoria, l'assetto pedagogico,
didattico   e  organizzativo  individuato  nell'allegato  B,  facendo
riferimento   al   profilo   educativo,   culturale  e  professionale
individuato nell'allegato D».
    Infine,  l'art. 15  stabilisce  che,  «al  fine  di realizzare le
attivita' educative di cui all'art. 7, commi 1, 2 e 3, e all'art. 10,
commi  1,  2  e  3,  e'  confermato in via di prima applicazione, per
l'anno   scolastico   2004-2005,   il   numero   dei  posti  attivati
complessivamente  a livello nazionale per l'anno scolastico 2003-2004
per  le attivita' di tempo pieno e di tempo prolungato ai sensi delle
norme   previdenti»,  aggiungendo  che,  «per  gli  anni  successivi,
ulteriori  incrementi  di  posti,  per  le  stesse finalita', possono
essere   attivati   nell'ambito   della   consistenza   dell'organico
complessivo dei personale docente dei corrispondenti ordini di scuola
determinata    con   il   decreto   del   Ministro   dell'istruzione,
dell'universita'  e  della  ricerca,  di  concerto  con  il  Ministro
dell'economia  e  delle  finanze,  di cui all'art. 22, comma 2, della
legge 28 dicembre 2001, n. 448».
    Le  norme  ora  ricordate  si  rivelano  lesive  delle competenze
costituzionali  della  Regione  Friuli-Venezia Giulia per le seguenti
ragioni di

                               Diritto

    1. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 1, 2, primo
periodo,  e  4,  primo  periodo,  e  dell'art. 10,  commi 1, 2, primo
periodo,  e  4,  primo periodo per violazione dell'art. 117, comma 3,
Cost. (in collegamento con l'art. 10 legge cost. n. 3/2001).
    Come  visto, l'art. 7 si occupa della scuola primaria e l'art. 10
della  scuola  secondaria  di  primo grado. Il comma 1 di entrambe le
disposizioni  fissa  «l'orario  annuale delle lezioni..., comprensivo
della  quota  riservata  alle  regioni,  alle istituzioni scolastiche
autonome»,  nella misura fissa di 891 ore. A queste ore si aggiungono
ulteriori  99 ore annue (per la scuola primaria) e 198 ore annue (per
la  scuola  secondaria  di primo grado) di «attivita' e insegnamenti»
facoltativi,  organizzati  dalle  scuole  al  fine  di  realizzare la
personalizzazione del piano di studi.
    Il  comma 4, poi, definisce anche il tempo dedicato «alla mensa e
al dopo mensa», ponendo il limite massimo di 330 ore annue (art. 7) e
di   231   ore   annue   (art. 10).  Dunque,  mentre  per  la  scuola
dell'infanzia   l'art. 3   stabilisce   che  l'orario  annuale  delle
attivita' educative «si diversifica da un minimo di 875 ad un massimo
di  1700  ore,  a seconda dei progetti educativi delle singole scuole
dell'infanzia,  tenuto  conto delle richieste delle famiglie», per la
scuola  primaria e secondaria di primo grado il d.lgs. n. 59/2004 non
lascia  nessun  margine  di  scelta ne' alle regioni ne' alle scuole,
direttamente   prescrivendo  un  orario  fisso  sia  per  le  lezioni
obbligatorie  sia  per  le  attivita' facoltative. La regione ritiene
debba  escludersi  che il vincolo rigido nella fissazione dell'orario
annuale  delle  attivita'  educative  possa  giustificarsi sulla base
dell'art. 117,  comma  2,  lett. n)  (si e' gia' detto quale dovrebbe
essere  l'ambito delle «norme generali»); e' qui da aggiungere che le
norme   in  questione  non  possono  neppure  considerarsi  «principi
fondamentali»  in materia di istruzione (del resto, dato il contenuto
della  delega,  il  Governo si sarebbe in ogni caso dovuto limitare a
dettare  le  nome  generali).  Come  ha  precisato  codesta  Corte, i
«principi fondamentali» in materia di istruzione hanno la funzione di
«orientare  le  regioni chiamate a svolgerli»: ma la fissazione di un
«monte  ore»  fisso  non  richiede ne' consente alcuno svolgimento da
parte  delle  regioni  e  delle  scuole,  alle  quali  e'  tolta ogni
discrezionalita'   nell'organizzare   le   attivita'  educative,  sia
obbligatorie che facoltative.
    I  commi  1, 2, primo periodo, e 4, primo periodo, di entrambe le
disposizioni, dunque, sono illegittimi nella parte in cui fissano con
precisione  l'orario  annuale  perche'  pongono norme di dettaglio in
materia di competenza concorrente, e vincolano ad esse.
    Si noti, poi, che la fissazione in dettaglio dell'orario riguarda
anche  la  «quota  riservata  alle regioni», cioe' la quota «relativa
agli aspetti di interesse specifico delle stesse, anche collegata con
le  realta'  locali»,  di  cui  all'art. 2,  comma 1, lett. l), legge
n. 53/2003.  E'  addirittura  paradossale  che neppure per la propria
quota  di piano di studi alle regioni sia consentito di esprimere una
opzione in relazione all'orario di lezioni.
    Addirittura,  il comma 4 (sia dell'art. 7 che dell'art. 10) fissa
un  limite  massimo  anche per il tempo dedicato alla mensa e al dopo
mensa:  in  questo  caso,  l'interferenza  con  l'organizzazione  del
servizio  scolastico,  di competenza regionale e delle scuole, sembra
particolarmente  evidente,  cosi' come il carattere dettagliato della
disposizione.
    E'  chiaro  che  la  fissazione  degli orari e' legata anche alla
determinazione  dell'organico: ma anche nell'attuale situazione - che
non   appare  certo  armonizzata  con  i  principi  della  competenza
concorrente  -  in  cui  la  determinazione dell'organico spetta allo
Stato  (v.  art. 221,  legge n. 448/2001), alle regioni e alle scuole
compete  un  margine di discrezionalita' nella fissazione dell'orario
(pur  nell'ovvio  rispetto  delle  esigenze di organico) che non puo'
essere eliminato.
    Di  piu',  sembra  evidente che di queste esigenze si puo' tenere
conto  in  modo  del  tutto  adeguato  - nel pieno rispetto anche del
principio di sussidiarieta' - proprio a livello regionale, sulla base
del  decreto  di  ripartizione  dell'organico  fra  le regioni di cui
all'art. 22,  comma  2,  legge  n. 448/2001;  e  che invece una norma
statale che cristallizza l'orario, a prescindere dai mutamenti futuri
dell'organico  (previsti dallo stesso d.lgs. n. 59/2004, all'art. 15)
risulta uno strumento oltretutto troppo rigido.
    Fra l'altro, l'orario delle lezioni, della mensa e del dopo mensa
dovrebbe  poter  variare anche in base alla quantita' di richieste di
attivita'  opzionali di cui all'art. 7, comma 2, e all'art. 10, comma
2.
    2.  - Illegittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 4, secondo
periodo,  e  dell'art. 10,  comma  4, secondo periodo, per violazione
dell'art. 117,   comma   3,   Cost.   e   del   principio   di  leale
collaborazione.
    Anche  l'art. 7, comma 4, e l'art. 10, comma 4, sono disposizioni
di  dettaglio  in  materia  di  competenza concorrente, che regolano,
senza  lasciare spazio alle regioni e alle scuole, il modo in cui far
fronte  all'eventualita'  in  cui  le  attivita'  educative opzionali
richiedano  una  specifica  professionalita'  non  reperibile  fra  i
docenti delle scuole stesse.
    Oltre  all'art. 117, comma 3, le norme in questione violano anche
il  principio di leale collaborazione perche' prevedono che, nei casi
di cui sopra, «le istituzioni scolastiche stipulano, nei limiti delle
risorse  iscritte  nei loro bilanci, contratti di prestazione d'opera
con  esperti, in possesso di titoli definiti con decreto del Ministro
dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca, di concerto con il
Ministro per la funzione pubblica».
    Le   norme   impugnate  attengono  sia  all'istruzione  sia  alle
professioni, ed in entrambi i casi si tratta di materie di competenza
concorrente.   La   definizione   dei  titoli  degli  «esperti»  puo'
considerarsi  -  almeno  nella  determinazione  di requisiti minimi -
funzione  sorretta  da  esigenze unitarie: ma si tratta pur sempre di
una regolazione interna alla materia regionale, ed essa, in base alla
sent.  n. 303/2003, dovrebbe comunque essere svolta previa intesa con
la Conferenza Stato-regioni.
    3.  - Illegittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 5, secondo
periodo,  e  comma  6,  e dell'art. 10, comma 5, secondo periodo, per
violazione dell'art. 117, comma 3, Cost.
    Come  esposto in narrativa, l'art. 7, comma 5, e l'art. 10, comma
5, disciplinano la figura dell'insegnante «tutor».
    Anche  in  questo caso si tratta di disposizioni dettagliate (per
giunta  integrate  da  quanto  dispongono  gli  allegati b) e c), che
regolano  i  vari  compiti  del  docente  tutor senza lasciare spazio
neppure ad una normativa attuativa regionale.
    Per  rispettare  il  quadro  costituzionale  delle competenze, lo
Stato  si  sarebbe dovuto limitare ad indicare la possibilita' per le
regioni o per le scuole di istituire questa figura, senza imporla. La
sua  presenza,  infatti,  non  puo'  essere considerata un «principio
fondamentale»  in  materia  di istruzione: si tratta di una specifica
soluzione  organizzativa  di  un  problema - quello della specifica e
continua attenzione al singolo studente - che ne ammette molte, e che
allo stato attuale costituisce oggetto di sperimentazione.
    La  migliore  soluzione  dipende  in  concreto  da  molti fattori
(bisogni  e condizioni degli studenti, disponibilita' di docenti e di
eventuali  risorse  esterne, orientamenti pedagogici e disponibilita'
di competenze), che variano anche da scuola a scuola.
    Anche  in  questo  caso,  invece,  il Governo ha agito come se le
regioni  non avessero alcun ruolo nella materia, ne' le scuole stesse
alcuna autonomia.
    Particolarmente  lesivo  pare  l'art. 7,  comma  6, che fissa una
quantita'  minima  di  ore di «insegnamento agli alunni» a carico del
tutor  (esso  e'  integrato,  in via transitoria, dall'allegato B, in
base  al  quale  il tutor «svolge attivita' educative e didattiche in
presenza con l'intero gruppo di allievi che gli e' stato affidato per
l'intero quinquennio, per un numero di ore che oscillano da 594 a 693
su  891 annuali»): e' chiaro anche qui il carattere non di «principio
fondamentale»  della  norma,  che  interferisce  con l'organizzazione
dell'orario   degli   insegnanti   all'interno  di  ciascuna  scuola,
limitando  fortemente  l'autonomia  delle  scuole  e pregiudicando la
competenza legislativa regionale.
    4.  -  Illegittimita'  costituzionale dell'art. 12, comma 1, ult.
periodo,   e   13,   comma   1,   secondo   periodo,  per  violazione
dell'art. 117,  comma  3,  e  dell'art. 118  Cost. e del principio di
leale collaborazione.
    Come   sopra   esposto,   l'art. 12  e  l'art. 13  dettano  norme
transitorie  in  relazione  alla  scuola  dell'infanzia e alla scuola
primaria.  I  commi  1  delle  due  disposizioni  si  occupano  delle
anticipazioni delle iscrizioni.
    In  relazione  a  cio'  l'art. 2,  comma 1, lett. e), della legge
delega n. 53/2003 ha stabilito che «alla scuola dell'infanzia possono
essere  iscritti  secondo  criteri  di  gradualita'  e  in  forma  di
sperimentazione  le bambine e i bambini che compiono i 3 anni di eta'
entro  il  30  aprile  dell'anno  scolastico di riferimento, anche in
rapporto  all'introduzione  di  nuove  professionalita'  e  modalita'
organizzative»;  l'art. 2,  comma  1,  lett.  f),  per  parte sua, ha
previsto  che  «alla  scuola  primaria... possono iscriversi anche le
bambine  e  i  bambini  che li compiono [i 6 anni] entro il 30 aprile
dell'anno scolastico di riferimento».. La legge delega non precisava,
per    la    scuola   dell'infanzia,   chi   dovesse   «gestire»   la
sperimentazione.
    L'art. 12,  comma  1,  ultimo  periodo,  del  decreto legislativo
n. 59/2004  ha  attribuito  la  competenza  in  materia  al  Ministro
dell'istruzione, «sentita l'ANCI».
    La  ricorrente  regione  ritiene  si tratti di materia di propria
competenza  sia  per  la  attuazione  legislativa che per l'eventuale
attuazione  in  via di normazione secondaria o in via amministrativa:
la  «modulazione»  delle  anticipazioni  nell'iscrizione  alla scuola
dell'infanzia,  infatti,  non risulta essere una funzione da svolgere
necessariamente  al centro in base al principio di sussidiarieta'. Al
contrario,  poiche'  la  sperimentazione  deve  tenere  conto  - come
risulta espressamente dallo stesso art. 12, comma 1 - delle peculiari
situazioni   locali,   il   livello   piu'   adeguato   per  regolare
l'anticipazione  e'  proprio  quello  regionale.  Comunque, una volta
riconosciuto  che  il  principio  di  sussidiarieta' non richiede una
competenza  derogatoria  centrale, spetta alla regione ogni decisione
sulla   gestione,   rispettando   essa   stessa   il   principio   di
sussidiarieta'.
    Inoltre,  la norma di delega sopra citata collega l'anticipazione
dell'iscrizione  alla introduzione di nuove modalita' organizzative e
cio'   conferma   che   l'ambito   «naturale»  della  gestione  delle
anticipazioni  e'  quello  regionale:  che,  del  resto,  e' l'ambito
costituzionalmente  prescritto,  trattandosi  di materia concorrente,
salva l'applicazione dell'art. 118 Cost.
    Ugualmente   deve   ritenersi   per   l'art. 13,   comma  1,  che
corrispondentemente   prevede  la  possibilita'  di  un'anticipazione
dell'iscrizione    alla    scuola    primaria,   gestita   anch'essa,
illegittimamente, dal Ministro dell'istruzione.
    In  subordine,  qualora  ad  avviso  di  codesta Corte si dovesse
ravvisare  un'esigenza  unitaria  a fondamento delle norme impugnate,
esse  sarebbero comunque illegittime per mancato coinvolgimento delle
regioni  e,  dunque,  per  violazione  dei principi di cui alla sent.
n. 303/2003.
    5.  -  Illegittimita'  costituzionale  dell'art. 12,  comma  2, e
dell'art. 13,  comma  3, per violazione dell'art. 117, comma 6, e del
principio di leale collaborazione.
    L'art. 12,  comma  2,  e  l'art. 13,  comma  3,  adottano  in via
transitoria,  fino all'emanazione del regolamento di cui (si presume)
all'art. 7,   comma   1,  legge  n. 53/2003,  «l'assetto  pedagogico,
didattico  ed  organizzativo»  di  cui agli allegati A (per la scuola
dell'infanzia) e B (per la scuola primaria).
    L'art. 7,  comma  1,  affida al regolamento l'«individuazione del
nucleo  essenziale  dei  piani  di  studio  scolastici  per  la quota
nazionale  relativamente  agli  obiettivi specifici di apprendimento,
alle  discipline  e alle attivita' costituenti la quota nazionale dei
piani  di  studio,  agli  orari,  ai  limiti di flessibilita' interni
nell'organizzazione  delle  discipline» (lett. a), la «determinazione
delle modalita' di valutazione dei crediti scolastici» (lett. b) e la
«definizione  degli  standard  minimi  formativi,  richiesti  per  la
spendibilita' nazionale dei titoli professionali conseguiti all'esito
dei percorsi formativi, nonche' per i passaggi dal percorsi formativi
ai  percorsi  scolastici» (lett. e): ma solo per le norme di cui alla
lett. c) e' richiesta l'intesa con la Conferenza Stato/regioni.
    Ora,  pare alla ricorrente regione che gli «orari» (lett. a) e le
modalita'   di  valutazione  dei  crediti  scolastici  non  rientrino
nell'ambito  delle  «norme  generali  sull'istruzione» e che, quindi,
essi  non possano essere oggetto di regolamenti statali, essendo cio'
precluso  dall'art. 117,  comma  6,  Cost.  (in  collegamento, per la
ricorrente regione, con l'art. 10 legge cost. n. 3/2001).
    In  queste  materie,  lo  Stato dispone di competenza legislativa
limitata  ai principi fondamentali, e non dispone di potere normativo
attuativo, dato che la potesta' legislativa, all'interno dei principi
fondamentali, spetta alle regioni.
    L'art. 12,  comma  2,  e  l'art. 13, comma 3, invece, richiamando
l'art. 7,   comma   1,   legge  n. 53/2003,  reiterano  l'illegittima
previsione del regolamento statale.
    Si  noti  che non varrebbe replicare che la censura doveva essere
rivolta  contro  l'art. 7 legge n. 53/2003, perche' e' pacifico nella
giurisprudenza  di  codesta  Corte  che  gli  atti  legislativi  sono
impugnabili  anche  se  apparentemente «confermativi», perche' dotati
sempre,  per  propria  natura intrinseca, del carattere della novita'
(v.,  ad  es., sentt. n. 30 e 44/1957, 47 e 63/1959, 3/1964, 19/1970,
171/1971, 49/1987, 1035/1988, 381/1990, 224/1994).
    In  subordine,  l'art. 12,  comma  2,  e l'art. 13, comma 3, sono
illegittimi nella parte in cui richiamano un regolamento che richiede
l'intesa con la Conferenza Stato-regioni solo in relazione al profilo
di  cui  alla  lett. c)  e non anche in relazione agli «orari» e alle
modalita'  di  valutazione  dei  crediti  scolastici: oggetti che, se
anche  vengono  ricondotti  all'art. 117, comma 2, lett. n), comunque
interferiscono con la gestione del servizio scolastico, di competenza
regionale,  e  dunque  richiedono di essere disciplinati con adeguati
meccanismi collaborativi.
    6. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 15, comma 1, secondo
periodo,  per  violazione  dell'art. 117, comma 3, e del principio di
leale collaborazione.
    La  norma  in  epigrafe prevede la possibilita' di «incrementi di
posti»  nell'ambito dell'organico del personale docente, mediante «il
decreto  del Ministro dell'istruzione..., di concerto con il Ministro
dell'economia...,  di cui all'art. 22, comma 2» legge n. 448/2001. Si
ricorda  che  in  base  a tale articolo «il Ministro dell'istruzione,
dell'universita'  e  della  ricerca  definisce  con  proprio decreto,
emanato  di  concerto  con il Ministro dell'economia e delle finanze,
previo  parere delle Commissioni parlamentari competenti, i parametri
per  l'attuazione  di  quanto  previsto  nel  comma 1 e provvede alla
determinazione  della  consistenza  complessiva  degli  organici  del
personale docente ed alla sua ripartizione su base regionale».
    Ora, ragionando in astratto, la competenza costituzionale propria
ormai  delle  regioni  in  materia  di  gestione e organizzazione del
servizio  dell'istruzione  richiede  che  lo  Stato,  nel quadro e in
attuazione  dell'art. 119  Cost., trasferisca alle regioni le risorse
necessarie  ad  esercitare anche la funzione in questione, pienamente
rientrante nell'organizzazione del servizio.
    In  attesa  di  una  compiuta  attuazione dell'art. 119 Cost., la
ricorrente  regione  puo'  accettare  una misura di gradualita' nella
messa  in  opera  del  nuovo  sistema:  ma  non puo' accettare che la
legislazione   vada   in  una  direzione  opposta  alle  prescrizioni
costituzionali.
    Cosi'  fa  invece  l'art. 15,  la'  dove  esso  non prevede alcun
significativo   coinvolgimento  delle  regioni  nell'esercizio  della
funzione di determinazione dell'organico, attinente ad una materia di
competenza concorrente (v. sent. n. 303/2003).
    Quanto  all'autonoma  impugnabilita'  di  ogni norma legislativa,
anche  se  apparentemente confermativa di una norma non impugnata, v.
il punto precedente.